Dallo svuotamento delle sedi al ritorno in massa, nel giro di due anni il sogno sembra essersi infranto
Dalla pandemia ad oggi, andata e ritorno. Si potrebbe riassumere così la parabola dello smart working, che nel giro di tre anni si è trasformato in meta e poi è tornato miraggio, per la gioia degli imprenditori ma di certo non per gli impiegati, costretti a tornare in ufficio dopo quasi tre anni di formule ibride. A dispetto di quanto si pensasse nel 2020, anno di svolta a causa della pandemia, lo smart working non è diventata una modalità definitiva di vivere il lavoro, anzi.
Il retrofront è stato avviato dall’America, che spesso detta le tendenze e anche questa volta si è caricata sulle spalle il ruolo di capofila. In particolare, gli uffici di Wall Strett e della finanza hanno deciso di “tornare indietro” in nome della produttività. Il CEO di Goldman Sachs, David Solomon, che ha definito così il lavoro da remoto: “Un’aberrazione da correggere al più presto ora che la pandemia è alle spalle”. JP Morgan la pensa allo stesso modo, infatti ha imposto ai dipendenti cinque giorni di lavoro in presenza ai manager e tre agli impiegati.
Smart working ultime notizie: dominano le soluzioni ibride
Ma cosa succede in Italia? Molto dipende dalla tipologia di lavoro. “Ci si sta orientando per un lavoro ibrido: in remoto qualche giorno alla settimana, di solito non più di due, e gli altri in ufficio” ha rivelato Alfonso Fuggetta, a capo di Cefriel (Centro di formazione e innovazione del Politecnico di Milano), aggiungendo: “I modelli sono tutti in divenire. Noi per esempio non abbiamo tolto nessuna scrivania, a costo di vederla vuota a giorni alterni. Le cassettiere, le foto, le cose che creavano il vecchio ufficio tradizionale restano sempre al loro posto”. Per esempio un coworking a Milano centro potrebbe essere il compromesso per il lavoro ibrido di chi passa dall’ufficio alla città.
Annamaria Devanna, partner della società di formazione e coaching Nilman, ha sottolineato: “Quando devi fare sviluppo e innovazione, non puoi pensare di lavorare a distanza perché non consente di trasferire conoscenza, tecnica e organizzativa, fra un partecipante e l’altro. (…) I corsi di aggiornamento, quelli manageriali, le conferenze interne, insomma ogni occasione per i dipendenti di ritrovarsi, di lavorare insieme, scambiandosi conoscenze anche minime e istantanee, sono ricercati avidamente con un bisogno quasi fisico di tornare a guardarsi negli occhi e condividere una missione”. Un mini-sondaggio condotto da L’Espresso intanto conferma che per il momento lo schema dei due giorni in remoto prevale.
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