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Sono passati due anni dall’approvazione della normativa sul lavoro agile (L. 81/2017) secondo cui i lavoratori possono prestare la propria attività senza vincoli di orari o e luogo. Nonostante questo, spesso ancora il termine smartworking viene associato solo al lavoro svolto da casa, in maniera riduttiva. La legge nello specifico definisce il lavoro agile “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
In realtà quindi si parla di smartworking in tutti quei casi in cui il lavoratore non deve recarsi tutti i giorni in un ufficio, lavorare alla scrivania, rispettare l’orario della pausa pranzo e andare via a fine giornata. Si tratta di una diversa filosofia organizzativa, in cui c’è condivisione, flessibilità, responsabilizzazione.
Il concetto di smartworking è ovviamente legato a quello di remote working, cioè il lavoro da remoto, che permette di collaborare con altre persone pur non essendo fisicamente nello stesso luogo contemporaneamente. In questo modo si annullano gli ostacoli causati dalle distanze, tanto da permettere a persone che si trovano in città diverse, o addirittura Paesi diversi, di lavorare “insieme”.
Smartworking significa quindi non solo assenza di vincoli, ma anche riduzione della presenza del cartaceo: si condivide tutto online, attraverso i cloud, fogli di lavoro condivisi online, e non c’è più bisogno di ricevere, inviare, fotocopiare pile di carta per condividere informazioni o dati.
“Tra dieci anni lavoreremo tutti da remoto” il futuro secondo Naval Ravikant. Il founder di AngelList prevede uno sviluppo molto rapido degli strumenti che permetteranno a sempre più aziende di gestire il lavoro da casa. Ma è necessario un cambio di mentalità. (Startup Italia)